Con Orobix l’intelligenza artificiale entra in produzione

Orobix srl - Bergamo

Sono i curiosi imprevisti della tecnologia: anni di progetti e ricerca in ambito medicale, poi la fiammata di notorietà legata a un prodotto sicuramente più superfluo, ma amatissimo dai numerosi affezionati del mondo dei videogiochi. Porta infatti la firma di Orobix l’intelligenza artificiale che guida i piloti avversari in MotoGP™19, un “must” per gli appassionati di racing games. Si chiama Anna, acronimo di Artificial Neural Network Agent, e rende più umane e avvincenti le sfide all’ultima ruota, rappresentando un cambio di paradigma rivoluzionario.

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“Il gioco – conferma Manuela Bazzana, responsabile marketing e comunicazione per Orobix - ha sancito il nostro progressivo impegno in un ambito estremamente complesso, dove fino a pochissimo tempo fa schiere di sviluppatori programmavano ogni singolo dettaglio, mentre oggi le stesse persone sono state promosse al ruolo di supervisori dei sistemi di intelligenza artificiale”.

Orobix, che è stata fra i protagonisti dell’ultimo “Now!” la serie di incontri dedicata all’innovazione promossi dal Digital Innovation Hub Bergamo, è nata dieci anni fa a Bergamo dal sodalizio di due amici, Pietro Rota, ingegnere gestionale, e Luca Antiga, ingegnere biomedico, focalizzandosi inizialmente soprattutto sui sistemi di intelligenza a supporto delle diagnosi medicali, allargandosi poi progressivamente in altri settori. L’impostazione di Orobix è oggi spiccatamente trasversale, con l’obiettivo di sviluppare intelligenza artificiale in ambiti che vanno dal medicale al manifatturiero, dai videogame all’astrofisica. La metà delle entrate, che complessivamente hanno raggiunto nel 2018 il milione e mezzo di euro, proviene dall’universo manifatturiero, mentre la restante quota si divide fra il medicale e altri settori. In forza ci sono oggi 23 tecnici, in gran parte ingegneri, matematici e fisici. E la ricerca di personale altamente specializzato è sempre aperta.
Fra i progetti attivi c’è anche quello in partnership con l’università di Bergamo e altre aziende per la creazione di un Innovation Hub e di una rete per raccogliere dati finalizzati all’addestramento di sistemi complessi basati sull’intelligenza artificiale in ambito smart cities.

Ulteriori importanti scenari si aprono grazie al recentissimo accordo con la bresciana Antares Vision, specializzata nei sistemi di ispezione visiva, soluzioni di tracciatura e gestione intelligente dei dati, che ha acquisito una partecipazione nella srl bergamasca con la prospettiva di un ulteriore ampliamento della quota. “Grazie ai sistemi di intelligenza artificiale – spiega ancora Manuela Bazzana – è possibile individuare anomalie come tumori o lesioni in organi del nostro corpo, ma anche pianificare al meglio una linea di produzione manifatturiera ed effettuare controlli non distruttivi sui pezzi prodotti. Con le reti neurali abbiamo per esempio sviluppato un progetto per rilevare difetti di produzione sulle guarnizioni impiegate in ambito automotive e sugli oblò delle lavatrici, ma anche software per la pianificazione chirurgica che attraverso la segmentazione automatica degli organi e dei vasi sanguigni, la visualizzazione 3D e l’applicazione della realtà virtuale, permettono un’esperienza immersiva particolarmente utile per il chirurgo in fase pre-operatoria”.
Una tecnologia sempre più amica, quindi, frutto però di un percorso che non è né facile né automatico. “L’intelligenza artificiale va costruita caso per caso, con grande fatica e meticolosità. Il cosiddetto “ultimo miglio” cioè la fase di passaggio fra il sistema messo a punto “in ufficio” e la vita reale rappresenta per noi la sfida più attuale e complessa. Ci stiamo focalizzando proprio su questo punto – ribadisce Manuela Bazzana – perché è quello più delicato di tutto il processo.
Sempre più spesso usciamo dai nostri uffici, stacchiamo gli occhi dai computer e ci caliamo fisicamente nel contesto in cui andranno a lavorare i nostri sistemi che per essere realmente intelligenti devono misurarsi con le numerose e complesse dinamiche e interazioni delle situazioni reali.

I nostri data scientist sono giovani professionisti pronti, nel caso di una linea manufatturiera, a mettersi un paio di scarpe antinfortunistiche per andare a bordo macchina e toccare con mano i processi che generano i dati in arrivo sui loro computer, stabilendo anche il giusto rapporto con l’operatore per costruire un sistema “intelligente” che tenga conto delle sue indicazioni, aspettative, preoccupazioni”. Con i dovuti accorgimenti e le corrette impostazioni, nella maggior parte dei casi il bilancio è positivo, il “patto” fra uomo e macchine viene sancito, con buone ricadute in termini di qualità del lavoro e crescita professionale.

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