Innovation manager, un mestiere e una scelta aziendale

Giacomo Biraghi, Responsabile dell’Innovazione di Confindustria Bergamo intervista Ivan Ortenzi

Ivan Ortenzi, breve biografia

Autore del libro "Innovation Manager" (FrancoAngeli) che riassume oltre dieci anni di esperienza come consulente accanto a molti CEO e Chief Innovation Officer in vari settori per progettare e implementare idee innovative e modelli innovativi di successo. Co-Autore del libro “Intelligenza Artificiale” (FrancoAngeli). Professore a contratto presso le principali business school italiane, mentore di Start up,  TEDxSpeaker e relatore in eventi aziendali e istituzionali su temi che riguardano l'Innovazione, la trasformazione digitale e gli scenari futuri dei modelli di business. Il suo blog "Atteggiamento Zen" (Zen Attitude) è il suo esercizio Zen preferito insieme al temperare le matite. Oggi è Chief Innovation Evangelist del Gruppo BIP, società di consulenza di direzione.

G.B. : oggi classifichiamo le aziende tra aziende tradizionali, aziende innovative e start up. È una classificazione che rispecchia la realtà?

Stiamo affrontando una fase di sviluppo economico, tecnologico e di mercato contraddistinto da dinamiche molto veloci, pervasive e che modificano molte delle categorie con le quali eravamo soliti descrivere settori, prodotti, servizi, politiche industriali e del lavoro.

Consideriamo l’etichetta “tradizionale”. Cosa ci porta a dire che un’azienda, grande o una PMI, sia un’azienda tradizionale? Solitamente utilizzeremmo criteri quali: il settore d’appartenenza, le modalità di gestione manageriale, l’età anagrafica. Oppure potremmo valutare sulla base del valore del brand, lo stato del ciclo di vita del prodotto o l’impatto delle tecnologie sui processi produttivi e commerciali.

In ogni caso oggi nessuno di questi criteri sarebbe esaustivo. Oggi non esistono aziende tradizionali o meglio non possiamo permetterci di utilizzare questa etichetta come un alibi. Penso che sia più utile distinguere tra aziende che sono consapevoli dell’impatto delle tecnologie e aziende che sottovalutano questo impatto e perseverano nella loro visione che sicuramente nel passato ha funzionato e le ha portate al successo ma oggi deve essere messa in discussione per poter essere potenziata.

Oggi la classificazione è data al grado di conoscenze e di analisi delle tecnologie da parte delle aziende. Le PMI italiane sono da sempre state un esempio per perfetto connubio tra i bisogni del mercato, la flessibilità di produzione, lo sviluppo di tecnologie applicate e lo spirito imprenditoriale. Per innovare occorre riproporre la stessa formula con strumenti e con dinamiche differenti consapevoli che la formula del successo del passato non è più riproponibile. Partendo quindi dai bisogni di mercato, le PMI devono invertire il flusso da reattivo a proattivo introducendo gli strumenti dell’analisi dei bisogni del mercato anche connessi ai propri prodotti andando a ricercare aree di estensione del modello di business. Non si può essere più dipendenti dalle specifiche e dalle richieste di modifiche da parte dei clienti consolidati. Che siano strumenti vicini ai modelli del design thinking magari applicato con un focus BtoB o strumenti di analisi dei mercati adiacenti. Occorre capitalizzare e capire la globalizzazione e le nuove dinamiche dei mercati.

La flessibilità di produzione deve essere il vero punto di forza sia nella collaborazione con le grandi aziende “contractor” sia nel saper cogliere le opportunità di mercato. Ripensare le competenze, ridisegnare gli uffici tecniche e provare nuove forme d’organizzazione può consentire alle PMI di dialogare con nuovi attori del mercato quali i centri di ricerca, le aziende dello stesso settore in un’ottica di filiera o le start up.

Le PMI italiane sono da sempre un grande centro di ricerca e sviluppo nell’applicazione delle tecnologie soprattutto manifatturiere per i mercati Corporate e Consumer.

Dobbiamo ritornare ad essere tutto questo, capire che le nuove tecnologie digitali e non, sono una grande opportunità di sviluppo tecnologico applicativo nei mercati in cui abbiamo tradizione, qualità e competenze.

Le PMI devono continuare ad essere tradizionali in un contesto di mercato profondamente diverso dal precedente. Le start up possono essere un elemento di catalizzazione e di accelerazione di questa consapevolezza veicolando queste opportunità nelle PMI.

Credo anche che questa collaborazione possa offrire uno spunto molto interessante.

Le grandi aziende che sono impegnate in progetti di Open Innovation sono focalizzate sull’estrare dalle Start up idee e applicazioni tecnologiche.

 

G.B. : l’Innovation manager con le sue competenze può aiutare le aziende in questo percorso?

L’Innovation manager a detta di molti osservatori del mercato delle competenze è una delle risorse manageriali più ricercati in questo periodo dalle aziende grandi e PMI. Una ricerca anche stimolata dai provvedimenti del Governo contenuti nella legge di Bilancio con il Voucher per l’Innovation manager del quale attendiamo ancora il dettaglio delle regole e del funzionamento. Le ultime notizie danno il provvedimento, il Decreto del MISE, alla firma della Corte dei Conti, ultimo passaggio prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto firmato dal Ministro Luigi Di Maio, che applica il comma 228 della Manovra destinando un contributo a fondo perduto ai manager dell’innovazione per stimolare il passaggio delle PMI al 4.0. La formulazione della legge prevede un voucher per “innovation manager” destinato all’acquisto di “prestazioni consulenziali di natura specialistica finalizzate a sostenere i processi di trasformazione tecnologica e digitale attraverso le tecnologie abilitanti previste dal Piano nazionale impresa 4.0 e di ammodernamento degli assetti gestionali e organizzativi dell’impresa, compreso l’accesso ai mercati finanziari e dei capitali”. È previsto un contributo per i periodi d’imposta 2019 e 2020 per le piccole e microimprese pari al 50% dei costi sostenuti per ciascun periodo d’imposta, fino a un tetto di 40mila euro e in particolare per le medie imprese è al 30% fino a 25mila euro. Siamo in attesa del Decreto perché dovrebbe istituire l’atteso l’elenco degli “innovation manager” per  società di consulenza e manager qualificati ammessi all’agevolazione, stabilendone i requisiti necessari per l’iscrizione.

Nell’attesa possiamo definire il ruolo dell’Innovation Manager come il regista dell’innovazione in azienda il cui ruolo parte proprio dal disegnare il perimetro dell’innovazione in azienda visto che il concetto di innovazione è associato a molte differenti interpretazioni con finalità diverse. Questo perimetro è il campo di gioco del Innovation manager nel quale opera con una struttura dedicata, organizzata per un impegno sistematico, strutturato e reiterato nel tempo utilizzando gli strumenti propri dell’innovazione e delle metodologie ad essa dedicate.

Il suo principale obiettivo è quello discutere e mettere in discussione la “struttura” dell’azienda  che spesso si trasforma in paradigma e diventa limite allo sviluppo delle idee e dell’innovazione. Se questa è il suo ruolo, l’Innovation manager deve avere caratteristiche di grande apertura mentale, capace di diffondere conoscenza e di far circolare le idee, di fungere da stimolo e da incoraggiatore, senza mai appropriarsi delle idee altrui, ma anzi riconoscendone il valore e la paternità in ogni occasione.

Per mettere in condizioni l’Innovation manager e la sua organizzazione di operare al meglio, non occorre chiedersi se l’azienda ha bisogno di lui e delle sue competenze. Occorre verificare se l’azienda è pronta ad avere un presidio con queste caratteristiche sull’innovazione. Occorre andare oltre gli slogan come “sviluppare innovazione”, di “cambiamento della cultura aziendale” e di “industria 4.0”.

G. B.  : quali sono le condizioni aziendali per supportare l’azione dell’Innovation Manager?

In Italia molte grandi aziende hanno iniziato a inserire nell’organigramma l’Innovation Manager affiancando queste iniziative con scelte organizzative e di strutture dedicate. Molte delle soluzioni sono state accompagnate da iniziative e progetti di Open Innovation e di ricerca di Start Up. Oggi questa strategia sta permeando anche le aziende di dimensioni inferiori sollevando alcune tematiche e perplessità tipiche dell’adozione delle pratiche e dei metodi “consulenziali” nelle PMI.

Non serve dichiarare di aver bisogno di un Innovation Manager se non si considera che avere un innovation manager in azienda presuppone di aver compiuto alcuni passi fondamentali nella cultura aziendale, nei processi aziendali e nella selezione degli obiettivi strategici aziendali che ne permettono il corretto apporto.

Un innovation manager è un abilitatore per consentire all’azienda di incrementare le probabilità di generare innovazione. Non è l’unica ma è una di quelle scelte che contribuisce ad aumentare la probabilità che questo accada. Esistono modelli che prescindono dalla presenza di un innovation manager. È però vero che questa opzione è quella che meglio si può disegnare, prevedere e collocare all’interno della liturgia aziendale. Ma attenzione, per poter consentire la capitalizzazione del suo ruolo le condizioni aziendali sono determinanti e necessarie ma, ahimè, non sufficienti per innovare.

Avere un Innovation Manager vuol dire dare libertà d’azione e d’espressione a tutte e tutti gli irrequieti in azienda. Vuol dire importare dall’esterno persone irrequiete. E se questo non è culturalmente accettato si scatenano gli anticorpi avversi all’innovazione.

Vuol dire dare per scontato di dover allocare un budget per supportate l’azione del Innovation Manager, un budget per supportare le iniziative di sperimentazione dell’innovazione, un budget per condividere le iniziative di innovazione con le business line senza chiedersi i ritorni economici.

Significa infine delegare alcune scelte operative e strategiche all’ Innovation Manager sulle quali responsabilizzare lui e le persone a lui correlate,  definendo degli obiettivi specifici.

G.B. : qual è la tua esperienza di consulente in area innovazione e innovation management con le PMI?

Bella domanda! Posso solo considerare la mia esperienza che essendo mia non è di certo esaustiva. Sono un consulente da parecchi anni oramai e molte delle mie esperienze sono state con aziende di grandi dimensioni che si dicono essere abituate a considerare e ad acquistare consulenza.

Ho iniziato nel marketing strategico, poi ho esteso le mie competenze alla strategia aziendale per poi specializzarmi in “strategie per l’innovazione”.

Oggi la mia proposizione personale e consulenziale potrebbe essere cosi riassunta: sono un consulente aziendale, mi occupo di strategie per l’innovazione con attenzione alle tecnologie digitali e all’evoluzione dei modelli di business.

Penso che un imprenditore di una PMI non mi farebbe arrivare neanche alla parola “strategia” ! Ovviamente sto scherzando, ho avuto molte occasioni ed opportunità di lavorare con imprenditori. Esistono due peculiarità per chi fa il mio mestiere.

La prima è sedersi di fronte ad un manager di azienda, la seconda è sedersi di fronte ad un imprenditore indipendentemente dalla dimensione dell’azienda, non faccio distinzioni tra Piccole, medie e grandi. In tutti questi casi oggi che tu sia un manager o un imprenditore prevale il pragmatismo, l’esecuzione e il raggiungimento dei risultati a breve termine.

Il tema può essere la base di partenza.

Penso che le aziende di grandi dimensioni oggi abbiano bisogno di idee per scardinare lo status quo con la capacità di disegnare degli scenari per il futuro. Le PMI penso che abbiano bisogno di essere affiancate per realizzare o per capitalizzare il grande patrimonio di innovazione che hanno sempre espresso magari in modo destrutturato. Un affiancamento operativo verticale capace di ridisegnare il vantaggio competitivo. Non più “piccolo è bello” ma “piccolo scalabile o iper-specializzato” per una crescita orientata al mercato nel caso di prodotti finiti, flessibile e tecnologicamente aggiornata nel settore dei semilavorati capace di affiancare alla qualità del prodotto l’eccellenza del servizio e l’immagine dell’essere italiana.