L’agenda industriale sul tavolo del prossimo Governo: parlano gli imprenditori

di Laura Magna ♦ Proseguire sulla strada di Calenda con formazione e competenze, rinnovo degli incentivi fiscali, sviluppo dei DIH e delle filiere. L’opinione di manager e industriali, impegnati in azienda e nell’attività associativa di categoria per la digital transformation: Carlo Robiglio, Gianluigi Viscardi, Giuliano Busetto, Diego Andreis, Sonia Bonfiglioli

Le trattative sono in corso, e si presentano particolarmente complesse. Ben pochi sono convinti che si arriverà presto a una soluzione netta, lineare, convincente per la guida del Paese. Ma in ogni caso, per il prossimo Governo, il principale tema  da affrontare si può sintetizzare con una sola parola: Industria. Nel secondo Paese manifatturiero europeo e il settimo al mondo, un euro di industria ne genera altri quattro, e garantisce così la sopravvivenza dei servizi e della finanza, alimentando ricerca, scienza, conoscenza. L’industria, inoltre, è particolarmente sensibile alle politiche nazionali, come dimostra il successo dei due pacchetti Calenda intitolati 4.0 e che tanto hanno contribuito alla ripresa recente. E anche per gli imprenditori, che ora Industria Italiana interpella dopo aver sentito gli studiosi (vedi qui) è importante garantire continuità a quanto fatto finora, muovendosi (e in maniera se possibile ancora più  incisiva e determinata), nella stessa direzione. Come vedremo, per Carlo Robiglio, Gianluigi Viscardi, Giuliano Busetto, Diego Andreis, Sonia Bonfiglioli,  in cima alla politica industriale del prossimo governo ci deve essere la formazione; non bisogna distruggere quanto già fatto per la nostra manifattura con gli incentivi all’acquisto di beni strumentali, ma rafforzarli e renderli strutturali; si deve spingere l’acceleratore su Innovation Hub e Competence Center – superando il ritardo accumulato in fase attuativa, così da ridare gas alla competitività del Paese. E puntando sull’aumento dimensionale delle nostre micro imprese, leader in nicchie super specializzate ma senza la dotazione strutturale per imporre la propria forza in un contesto globale. Ma andiamo a vedere  nel dettaglio come si configurano le priorità dell’agenda industriale italiana secondo il pool di imprenditori intervistati.

 







Giuliano Busetto, Presidente di Anie

Busetto: rendere il beneficio fiscale strutturale ed estenderlo

«Industria 4.0 e poi Impresa 4.0, ovvero i due pacchetti di misure di politica industriale presentati dal ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda nell’ultimo biennio, sono una solida base su cui costruire», esordisce Giuliano Busetto, Presidente di Anie, la Federazione nazionale delle imprese elettrotecniche ed elettroniche che fa capo a Confindustria e che raggruppa 1300 imprese per 75 miliardi di euro di fatturato aggregato e ben 500.000 addetti : «Bisogna ovviamente tener presente che le misure del governo che si avvia a concludere il suo mandato non sono sufficienti a cambiare radicalmente e in tempi così rapidi uno scenario come quello italiano. L’industria italiana ha perso competitività negli anni rispetto a Paesi come Francia e Spagna: per recuperare posizioni e rafforzare le nostre manifatture è necessario definire una strategia pluriennale con indicazioni di tipo strutturale. Direi che il Piano Calenda ha prodotto un attrito di primo distacco, consentendo all’imprenditore di sperimentare le necessità e le caratteristiche della quarta rivoluzione industriale. Ma questo primo avvicinamento non implica che ogni impresa abbia già investito, né che lo abbia fatto nel modo corretto.»

«Invero, è indubbio che Industria 4.0 abbia sollecitato gli investimenti privati in Italia, -prosegue Busetto, e sono convinto che abbia favorito anche i produttori di macchine che, avvicinatisi con maggiore attenzione alle tecnologie su cui si basa la digitalizzazione e la interconnessione delle imprese, sono stati in grado di introdurre elementi di innovazione nella costruzione dei beni strumentali, tali da trarne benefici non solo sul mercato domestico ma soprattutto per l’attività di export. Ora dobbiamo aumentare la spinta, mantenendo la focalizzazione sul manifatturiero».

 

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Busetto: i pacchetti di misure di politica industriale dell’ultimo biennio sono una solida base su cui costruire: Nella foto gli ultimi due presidenti del Consiglio, Paolo Gentiloni e Matteo Renzi
Focus sul manifatturiero nell’agenda economica generale del governo

Primo punto della nuova politica industriale, dunque, «tenere il settore manifatturiero alto nell’agenda: va trovato un modo per rendere il beneficio fiscale strutturale e per estenderlo. Perché un’impresa si possa definire digitale e interconnessa, ovvero rispondente ai criteri del 4.0, non è sufficiente che venga introdotta sulla linea di produzione una macchina con PLC o controllo numerico evoluti ma occorre favorire la contaminazione delle tecnologie digitali a tutti i livelli dalla base nella fabbrica, fino a quelli dirigenziali. C’è la necessità di costruire un approccio olistico all’interno di un impresa: progettisti meccanici ed elettrici, responsabili di automazione e produzione, Information Tecnology e processisti devono far parte di un unico ecosistema valorizzando insieme la flessibilità produttiva, la riduzione dei tempi sviluppo prodotto, l’alta qualità e la sicurezza. Infine, è fondamentale la conoscenza dell’impatto tecnologico della trasformazione Industria 4.0, conoscenza che si può ottenere anche grazie alla disponibilità di assessment legati alla maturità digitale. In questo modo è possibile per l’imprenditore valutare meglio i benefici per la propria azienda e apprezzarli».

La formazione: i soft skills

Secondo punto di una politica industriale efficace: la formazione. «L’attenzione va posta certamente sulle conoscenze tecnologiche ma anche sui soft skill. Il lavoro del futuro si svolgerà in un mondo interconnesso, dove non esistono più compartimenti stagni: dagli ITS all’Università è necessario cambiare approccio e abbandonare l’eccessiva specializzazione a favore della interdisciplinarità. Auspichiamo che si possano presto considerare insegnamenti trasversali a meccanica, meccatronica, ITC, automazione per ogni branca dell’ingegneria, per fornire quelle che saranno le professionalità maggiormente richieste con la quarta rivoluzione a pieno regime».

 

Assolombarda lancia il progetto #ItaliaMeccatronica
Diego Andreis, managing director di Fluid-o-Tech e presidente Gruppo Meccatronici di Assolombarda Milano Monza e Brianza

Andreis: definire i megatrend della trasformazione e uscire dal nanismo industriale

«Di recente ho avuto modo di apprezzare un documento prodotto dal governo britannico, dal titolo “Industrial Stategy”. Si tratta di 250 pagine in cui, insieme a tute le parti coinvolte, si declina la politica industriale del Regno Unito: il punto di partenza è l’identificazione delle grandi sfide che si trovano ad affrontare e devono cavalcare per non soccombere: la prima è che la rivoluzione tecnologica sta cambiando il mondo per tutti e che l’AI muterà completamente il modo in cui viviamo e lavoriamo. Ecco, questo modello è assolutamente condivisibile ed esportabile anche all’Italia». Esordisce così Diego Andreis, presidente del Gruppo Meccatronici di Assolombarda Milano Monza e Brianza e Vicepresidente Federmeccanica. L ‘ azienda di cui  è managing director, Fluid-o-Tech,  fattura 70 milioni nel settore delle pompe volumetriche e dei sistemi per la pressurizzazione, la dosatura ed il trasferimento dei fluidi che trovano applicazioni diverse nei settori foodservice, automotive, medicale, industriale. «Questo è l’approccio corretto: le sfide, AI, mobilità, crescita sostenibile sono megatrend e su quelli si scommette. Non si tratta di compiere una scelta tra settori, ma di cercare di seguire quelle che sono tendenze trasversali. Nessuno di noi sarà escluso da queste sfide. Nel mondo industrializzato vicino alla maturità o al declino, le sfide sono abbastanza comuni, per questo quello che scrive il governo inglese va bene anche per noi».

Un lavoro strategico per una politica industriale di lungo periodo

Andreis suggerisce al prossimo governo italiano di «compiere un profondo lavoro strategico che coinvolga le parti sociali con le quali deve condividere una scelta di politica industriale di lungo periodo: su questa bisogna innescare le varie misure di breve periodo. Le sfide immediate rimangono quelle dell’industria 4.0, che si concretizza oggi con la scelta di spingere su ricerca e sviluppo che è alla base di tutto. Se R&S vengono condotti bene, anche grazie a incentivi sempre più strutturali e alla collaborazione stretta con le università, le aziende diventano competitive. Il credito di imposta su investimenti e formazione va bene, ma è necessario che diventi strutturale e di lungo periodo perché le aziende sappiano che più investono più sono incentivate a farlo. Ci sono alcune decisioni di investimento per cui l’azienda non è produttiva: e per fare grandi cose bisogna avere incentivo e la massa critica». E su questo aspetto, la massa critica, si innesta il secondo fronte su cui il governo, fissati trend che vuole cavalcare, deve battere.

 

Andreis: Se R&S vengono condotti bene, anche grazie a incentivi strutturali e alla collaborazione con le università, le aziende diventano competitive

Necessario per le imprese un salto dimensionale

«In un Paese affetto da nanismo industriale non è mai stato fatto nulla per rimuovere questo problema: studierei delle modalità per incentivare la crescita dimensionale delle imprese. L’impresa italiana è piccola e media e funziona bene in un contesto locale ma è completamente fuori scala se vuole competere su un terreno europeo o peggio mondiale. In Germania ciò che fa la differenza è proprio questa scala. Gran parte dei nostri problemi dipendono da questo, per cui auspico politiche per la collaborazione, alleanza per le imprese, finanza per la crescita per cambiare scala. Bisognerebbe proprio cambiare culturalmente e facilitare le aggregazioni, con politiche che le rendano vantaggiose grazie a incentivi e agevolazioni. Venendo questa a mancare resta solo la possibilità di essere eccellenti in micro nicchie, ma non si è mai veramente significativi in un campo mondiale».

La persona al centro

Infine, secondo Andreis c’è un elemento che va incentivato più di tutti ed è «la persona, che deve essere al centro di questa rivoluzione. La formazione è molto importante, ed è necessario continuare sul percorso appena intrapreso con gli incentivi agli ITS. Deve essere sviluppata la collaborazione tra istituti sui temi della formazione che oggi viene fatto molto timidamente, a parte casi sporadici di aziende come la nostra che si mettono in gioco e fondano il proprio ITS». Il riferimento è alla creazione di un corso di due anni per la formazione del Tecnico Superiore di tecnologie digitali per l’industria (vedi Industria Italiana qui). Nato grazie alla collaborazione tra Gruppo Meccatronici di Assolombarda Confindustria Milano Monza e Brianza, Gruppo ICT e Servizi alle Imprese di Assolombarda e alcune delle imprese associate più rappresentative, il corso ha l’obiettivo di formare una nuova figura professionale: il Tecnico Superiore di tecnologie digitali per l’industria con competenze ICT, unite in modo integrato a competenze di meccatronica, che sia in grado di supportare le attività digitali di produzione in ambito industriale.

«Tutto questo deve diventare strutturale e non frutto di una iniziativa di un singolo. – dice Andreis – E deve infine essere accompagnato da un nuovo racconto delle fabbriche, perché possiamo aprire mille ITS ma se non spieghiamo che la fabbrica è cambiata, che non è più un’officina piena di inquinamento acustico e grasso, di ferraglia e rischi, ma è diventata un laboratorio asettico dove si svolgono lavori a metà tra meccanica e l’elettronica e dove i robot svolgono le mansioni più alienanti mentre agli umani resta lavoro molto più di concetto, i ragazzi non vorranno mai fare gli operai. In conclusione, da un lato si deve definire una strategia, dall’altro darei continuità a quanto fatto da Calenda. La R&S è il punto di innesto di tutto», conclude il managing director di Fluid-o-Tech .

 

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Carlo Robiglio fondatore, presidente e Ceo del Gruppo Ebano,presidente della Piccola Industria di Confindustria e vicepresidente di Confindustria

 

Robiglio: credito alle piccole imprese e sviluppo delle filiere

Carlo Robiglio è il fondatore, presidente e Ceo del Gruppo Ebano, holding che opera in campo editoriale, leader di mercato in Italia nei corsi professionali, nella formazione a distanza e nell’e-learning nonché presidente della Piccola Industria di Confindustria e vicepresidente di Confindustria. «Come Confindustria ci poniamo come forza intermedia che dialoga con la politica. Noi riteniamo che il confronto possa e debba proseguire anche con il prossimo governo ma che non si possa prescindere da alcuni punti. Il primo che non si torni indietro sulle riforme già attuare, per esempio sul Jobs Act, che riteniamo una misura foriera di miglioramenti nel mercato. In parallelo, auspichiamo che in parallelo si prosegua nella via di politica industriale tracciata dal governo Gentiloni e in particolare dal ministro Calenda, rafforzando l’azione riformistica che egli ha portato sul tema dell’industria 4.0. Per noi sono argomenti e temi su cui bisogna insistere, il Paese sta riprendendo a correre mentre prima riusciva solo a camminare: gli investimenti aiutano, e contribuiscono anche a far crescere ancora di più anche l’export che è un driver che può far decollare nuovamente la nostra produzione industriale».

Un ulteriore punto da tenere nel focus è, secondo Robiglio, la formazione: «Anche su questo fronte ci sono discorsi che sono stati avviati e che vanno portanti avanti.Primi fra tutti i Digital Innovation Hub e i Competence center il cui bando è stato emesso in notevole ritardo, solo poche settimane fa. Noi come Confindustria abbiamo lavorato ai DIH che sono stati avviati finora: siamo in fase di completamento e questi hub dimostreranno la loro importanza nella relazione con l’imprenditore. Ma è chiaro che solo attraverso l’implementazione dei Competence center sarà possibile il trasferimento tecnologico che consentirà la vera trasformazione digitale dell’impresa».

 

Robiglio: gli investimenti in beni 4.0 iniziano a essere nel focus delle Pmi proprio perché aumenta la conoscenza grazie all’opera di cultura d’ impresa svolta da Confindustria
Come aprire la strada della digital transformation alle Pmi

Per le piccole imprese, 4 milioni e mezzo di aziende che rappresentano oltre il 90% del sistema industriale domestico, la strada verso questa trasformazione è ancora più lunga e irta di ostacoli. Come la si può spianare? «Le piccole imprese sono schiacciate da due fattori: il primo è la stretta sul credito che però deriva anche da regole imposte a livello europeo e sulle quali a livello nazionale si può fare poco. Sul tema della formazione, invece, (secondo vulnus per le Pmi), il governo può fare sicuramente molto di più: è necessario incentivare quella volta alla trasformazione delle imprese e dei prodotti, dei servizi e dei processi in chiave 4.0. Risulta fondamentale trasmettere all’imprenditore tutto ciò che lo può aiutare a innovare».   Passi avanti ne sono sono stati fatti sicuramente, ma la strada è certamente ancora lunga: «Confindustria continua a compiere una forte opera di cultura di impresa sui nostri imprenditori, e gli effetti si vedono soprattutto in termini di investimenti in beni 4.0, che iniziano a essere nel focus delle Pmi proprio perché aumenta la conoscenza. Un ulteriore driver di crescita per le piccole imprese è lo sviluppo delle filiere. Il sistema imprenditoriale italiano che fa affidamento sulle filiere, fatte di centinaia e migliaia di piccole imprese che lavorando con imprese medio grandi, accrescono competenze e conoscenze e investono in macchinari che danno la possibilità di offrire prodotti e servizi innovativi e competere sui mercati globali».

 

Viscardi
Gianluigi Viscardi, presidente del Cluster Tecnologico Nazionale Fabbrica Intelligente,Vicepresidente all’innovazione della Piccola Industria di Confindustria e CEO Cosberg

 

Viscardi: pronto il documento di Confindustria che traccia le linee guida della prossima politica industriale

Gianluigi Viscardi è stato confermato per la seconda volta consecutiva presidente del Cluster Tecnologico Nazionale Fabbrica Intelligente (CFI), l’associazione di oltre 300 fra grandi, piccole e medie aziende, università ed enti di ricerca che riunisce tutte le anime del manifatturiero avanzato per favorire il rafforzamento della competitività industriale italiana sui mercati, dialogando con le istituzioni. Vicepresidente all’innovazione della Piccola Industria di Confindustria nazionale e presidente in carica del Comitato Regionale Lombardia della Piccola Industria, Viscardi è CEO della Cosberg, che a Bergamo, dal 1983, studia, progetta e costruisce macchine e moduli per l’automazione dei processi di montaggio, in tutti i principali ambiti dell’industria, nel settore elettro-meccanico, nel comparto dell’elettronica, o nel mondo degli elettrodomestici.

«Considerando che nel 2012 sono stati emanati dei bandi che sono ancora fermi, direi che l’approccio dell’ultimo Mise ha cambiato completante direzione. Iper e super ammortamento vanno senza dubbio confermati e rinnovati dunque, anche se qualcosa c’è da aggiustare ancora e si deve lavorare sulla crescita con un progetto. Un primo passo è stato fatto chiedendo agli imprenditori di agire investendo e offrendo in cambio un supporto in termini di incentivi, ora bisogna dare indirizzi di come deve crescere il nostro Paese anche tecnologicamente. Nel piano Calenda ci sono concetti come il Digital Innovation Hub e i Competence Center, ma abbiamo perso molto tempo sull’implementazione; bisogna ridiscuterne, perché bisogna lavorare tutti insieme, università, imprese, mondo della ricerca privata. Comprendere a pieno che una cosa è la ricerca e un’altra il trasferimento tecnologico», dice  Viscardi.

La formazione decisiva:

La chiave di volta della trasformazione è, ancora una volta, la formazione. Viscardi è anche presidente del Consiglio Direttivo del Digital Innovation Hub Lombardia, e «in cinque mesi da un’idea siamo passati a un progetto per cui abbiamo reperito i capitali: ed è un cambio epocale, un inversione dei processi per il nostro Paese». Il sistema dei DIH è già partito e consta di strutture che direttamente o tramite l’ecosistema dell’innovazione (Università, Competence Center, Cluster, Test Lab/Centri di Player Industriali/Servizi ICT, Centri di Ricerca; parchi scientifici e poli tecnologici, Incubatori di Start up, Fab Lab, Investitori, Enti Locali) offrono – come spiega Confindustria qui: affiancamento alle Pmi nell’analisi di fabbisogni, opportunità ed opzioni tecnologiche 4.0; mentoring e formazione in fabbrica; supporto per la costruzione di progetti di industria 4.0; accesso al network dei Competence Center nazionali ed europei e collaborazioni con i cluster tecnologici; consulenza su Industria 4.0 (proprietà intellettuale, fiscale, business modelling, valutazione dei progetti di investimento); autovalutazione della maturità digitale; accesso a progetti e finanziamenti pubblici e privati, nazionali ed europei.

«Nei digital Innovation hub l’imprenditore troverà il suo medico di famiglia, che gli farà una prima diagnosi indirizzando allo specialista. Con tutta questa escalation tecnologica, senza indicazioni è estremamente complesso scegliere la tecnologia giusta? Ed è proprio questo l’obiettivo che perseguiamo. In questo contesto, ovviamente, la formazione è cruciale. Al di là degli ITS che è doveroso finanziarie e far crescere è il modo di fare formazione che deve cambiare in modo da creare valore anche alle imprese, non solo alle persone. Le competenze del singolo che lavora all’interno di un’organizzazione devono diventare valore per le imprese, un intangibile. Come nel calcio dovrà accadere che se un’impresa ha un fuoriclasse chi vuole strapparglielo lo deve pagare pagando tutta la formazione che questo ha avuto in quell’azienda».

 

Le assise di Confindustria da cui è uscito il documento sulla politica industriale
Il documento di Confindustria sulla politica industriale

Confindustria ha messo a punto un documento  in cui viene definito un programma dettagliato e molto concreto su come attuare tutti i temi che riguardano la trasformazione digitale dell’Italia da qui a cinque anni. «Quando sarà formato il governo – dice Viscardi – andremo a presentare questo documento per fornire quelle che secondo noi sono le nostre linee guida di politica industriale prossima ventura». Un primo assaggio Viscardi lo offre intanto a Industria Italiana. Nel piano sono trattati argomenti disparati, da un piano europeo di investimenti in ricerca, formazione e infrastrutture, fino alla fissazione di un vincolo che imponga al settore privato di investire nell’economia reale (con i fondi pensione che devono dedicare almeno un 5% del portafoglio alle Pmi ).

«Dobbiamo lavorare per rendere il Paese più semplice e più efficiente: riorientare le regole e la PA perché contribuiscano alla crescita dell’Italia. Partire dalla digitalizzarono della PA, arrivando a creare team specializzati per fluidificare i rapporti tra amministrazione e imprese, garantire tempi brevi e certi per la giustizia, dorate il Paese delle infrastrutture ancora carenti. Puntare sulla scuola, rendere organico il rapporto università e impresa, spingere perché le università siano più internazionalizzate e scientifiche, favorire l’apertura delle imprese al lavoro straniero, costruire un un modello economico circolare, favorire l’incontro tra investitori e imprese non quotate perché i Pir non bastano. E più nello specifico, imporre il bilancio certificato alle  Pmi innovative, arrivare alla realizzazione di 50 fabbriche faro sul territorio dove tutti gli imprenditori possa toccare con mano la digitalizzazione e sperimentare sul campo industria 4.0».

 

Sonia Bonfiglioli
Sonia Bonfiglioli, presidente dell’ omonimo gruppo
Bonfiglioli: Continuità con le ultime politiche e spinta sulle competenze

Sonia Bonfiglioli, è presidente del gruppo che porta il suo nome, sede a Bologna, fondato nel 1956, fra i leader mondiali della progettazione e produzione di motoriduttori di velocità, sistemi di azionamento ed automazione industriale, inverter e motoriduttori epicicloidali, per centinaia di applicazioni. «Bisogna fissare degli ordini di priorità: il punto chiave è dare continuità alle azioni del vecchio governo, perché se fossero interrotte si potrebbe avere un impatto negativo su indotto ed economia. Se invece si continua si evita di creare cortocircuiti. L’altro punto fermo è che la trasformazione della nostra impresa, con le Pmi in testa, è lungi dall’essere anche solo iniziata, e bisogna essere consapevoli che non si fa in due o tre anni ma è un processo lungo e faticoso». Raggiungiamo Sonia Bonfiglioli al telefono mentre è in visita nella Silicon Valley con tutto il suo gruppo dirigente: «siamo venuti a respirare il futuro, perché il pesce puzza dalla testa: se si parla solo della rivoluzione in cui pure siamo immersi ma non la si va a sperimentare con i proprio sensi, il tutto rischia di essere un esercizio di stile». E l’ingegnere Bonfiglioli mira a tutto, meno che a questo: non a caso nella sua sede di Calderara, dallo scorso settembre si svolge “Bonfiglioli Digital Re-training”, (vedi Industria Italiana qui)   un progetto pionieristico che mira a far percepire non solo e non tanto ai giovani ma soprattutto a chi è già nel mondo del lavoro che «la sfida dell’Industria 4.0 deve essere vissuta non con paura ma come una grande opportunità che può migliorare le condizioni di lavoro».

Così agli operai di Bonfiglioli viene insegnata cosa è la cooperazione uomo-robot, come funzionano gli esoscheletri, gli smart glasses, le proiezioni laser, la realtà aumentata, la stampa 3D, la gestione dei big data. «La riqualificazione parte dagli operai e si deve estendere a tutta l’organizzazione, deve essere pervasiva, a questo serve oggi il nostro tour della Silicon Valley, che proseguirà toccando in sei mesi sei diverse parti del mondo per vedere come il digitale cambia i settori, il futuro ha le radici nell’oggi», dice Bonfiglioli che ritiene «il tema delle competenze cruciale: sollevata da impresa 4.0, è la questione chiave che ci consente di affrontare il futuro. Lo possiamo fare se ci dotiamo delle competenze necessarie. In Italia c’è una carenza atavica di laureati in materie scientifiche, quale sia la soluzione non lo so. Ma so che quando parliamo di disoccupazione giovanile, dobbiamo capire qual è il livello di formazione che c’è dietro e quale livello ti garantirebbe il lavoro. Ovviamente non si può impostare il tema solo in una logica di occupazione, bisogna impostarlo inuna logica di competenze: è necessario avere determinata conoscenze per il fatto che il mondo va in questa direzione. Quello che temi e non affronti ti arriva come una botta sulla testa. Non possiamo tirarci fuori da questa trasformazione. Se la capisci la puoi guidare se no la puoi subire e basta. Bisogna indirizzare, supportare, capire quali sono le competenze che richiederanno le prossime tecnologiche la di là dell’industria», dice Bonfiglioli. Che avverte che per compiete la trasformazione sarà necessario almeno un decennio, ma in ogni caso è «necessario avere un input forte. Il governo potrà dare un indirizzo in termini di competenze delle persone. Tenendo a mente che l’evoluzione è parte dell’uomo e non si può fuggire».

 

 

 














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